Vaccinarsi: quando e perché
Le vaccinazioni rappresentano uno strumento universalmente riconosciuto per prevenire numerose malattie infettive contagiose e anche per fare prevenzione di alcuni tipi di tumore. Lo sviluppo di piani vaccinali sempre più articolati ha permesso di eradicare nell’ultimo secolo malattie come il vaiolo e di ridurre la morbilità e la mortalità di numerose altre malattie infettive.1
Il vaccino contro l’epatite B, il primo messo a punto contro il cancro, previene l’infezione e la sua cronicizzazione con il conseguente sviluppo di cirrosi ed epatocarcinoma. Le evidenze scientifiche riferiscono infatti che le persone vaccinate hanno una riduzione del 70% del rischio di cancro al fegato rispetto a quelle non vaccinate. Per questo motivo, la vaccinazione dei gruppi a rischio lanciata a livello globale negli anni Ottanta e l’introduzione negli anni Novanta della vaccinazione universale per i neonati e gli adolescenti rappresentano un vero spartiacque nel panorama della sanità pubblica.1
Secondo le stime più recenti dell'Istituto Superiore di Sanità, nel 2012 in Italia sono stati diagnosticati 1.515 nuovi casi di tumore del collo dell'utero e si sono verificati 697 decessi per questa malattia. Questi dati sono in continua e forte riduzione fin dall'inizio degli anni Ottanta, per effetto delle campagne di screening e diagnosi precoce tramite il Pap-test. Negli ultimi anni al Pap-test si è affiancato, e a seconda delle strategie a volte sostituito, un altro esame per identificare sulla superficie del collo dell'utero la presenza di DNA di papillomavirus (in sigla HPV-DNA test). Da qualche anno, però, l'infezione fare prevenzione per il tumore del collo dell’utero è possibile, grazie all'introduzione di un vaccino rivolto contro i tipi di virus del papilloma umano (HPV) responsabili della maggior parte dei casi di tumore.
Sebbene la maggior parte delle infezioni da HPV si risolva spontaneamente, o comunque non si tramuti in tumore, si stima che quasi la totalità dei tumori della cervice uterina e una quota in crescita di altri tumori più rari siano causati da questo agente virale. È fondamentale quindi attivarsi in materia di prevenzione dei tumori e ridurre al minimo questo fattore di rischio.2
Per quanto riguarda, invece, le persone che stanno affrontando una terapia per curare un tumore, uno degli effetti collaterali più frequenti legati all’impiego di chemioterapici è l’immunodepressione del paziente che si protrae per tutto il periodo delle cure e fino a 6-12 mesi dopo la loro sospensione.3
Per questo motivo, le vaccinazioni a base di anatossine, subunità proteiche, DNA ricombinante o antigeni batterici come quelle contro tetano, difterite, pertosse, poliomielite, epatite B (HBV), influenza, emofilo, pneumococco, meningococco, papillomavirus (HPV) non sono di per sé controindicate durante la chemioterapia.4 Le vaccinazioni con virus vivi attenuati come quelle contro morbillo, parotite, rosolia (MPR), varicella zoster (VZV) sono generalmente controindicate durante la chemioterapia. Dopo la chemioterapia non sembra esservi perdita totale dell’immunità vaccinale4, tuttavia sarà utile eseguire i dosaggi degli anticorpi delle precedenti vaccinazioni per accertarsi di aver conservato la capacità di difesa.
In alcuni studi, infatti, è stato osservato che, in seguito a trattamenti chemioterapici, la protezione verso il virus dell'Epatite B potesse diminuire anche del 50%, del 20-40% per Morbillo, Parotite e Rosolia e di circa il 10-30% per Tetano e Difterite.4
Particolarmente consigliata (salvo diversa indicazione del proprio medico curante) è la vaccinazione antiinfluenzale, sia durante che dopo la chemioterapia, in quanto il rischio di contagio, essendo la persona sottoposta a questi trattamenti con una ridotta capacità di difesa immunitaria, è elevato e può complicare il percorso terapeutico o sfociare in eventi infettivi più severi.
Tale vaccinazione è consigliata anche ai congiunti della persona in trattamento in quanto si crea in tal modo una parziale protezione dal possibile contagio.5